Dagli ospedali alla cucina: l’antibioticoresistenza può raggiungerci anche dove non te l’aspetti. Tra i 5000 ed i 7000 morti l’anno in ospedale, dice la SIMIT (Società di Malattie infettive e tropicali) malati con sistema immunitario compromesso che perdono la vita non per la patologia per cui sono stati ricoverati, ma perché proprio in ospedale sono stati infettati da un batterio che non risponde agli antibiotici.
Soprattutto stafilococco aureo, pseudomonas, Klebsiella pneumoniae, enterobatteri. Si annidano nei tubi endotracheali, nelle macchine per la respirazione artificiale, nei cateteri urinari e venosi. Ma vengono trasferiti anche dalle mani non lavate di operatori sanitari che non usano i guanti, e sul lavoro maneggiano cellulari, mettono le mani nella borsetta, si toccano la cravatta: sono questi gli oggetti più carichi di microrganismi. Ma l’allarme contenuto nel rapporto del Ministero della Salute e ripreso dalla CIWF indica un’altra possibile via per la trasmissione all’uomo di microrganismi ormai diventati resistenti agli antibiotici: quello che residuano sulle carni, soprattutto pollame, e che possono entrare in contatto con noi prima della cottura, che li distrugge. Nello specifico, sui campioni di pollame analizzati dai Veterinari per conto del Ministero della Salute, il 90,04% degli isolati di Campylobacter jejuni ha mostrato resistenza ai fluorochinolonici e il 5,36% ha mostrato resistenza multipla. Nel caso della Salmonella, l’83,15% dei ceppi isolati nei campioni ha mostrato resistenza ai fluorochinolonici, l’82,02% alle tetracicline (la classe di antimicrobici più venduta in Italia), il 3,37% alle cefalosporine di 3° e 4° generazione e il 78,65% degli isolati ha mostrato resistenza multipla.
Per Escherichia Coli la resistenza ai fluorochinolonici è presente nel 67,65% dei campioni, la resistenza alle cefalosporine di 3° e 4° generazione nel 6,47%. Inoltre l’80,59% ha mostrato resistenza multipla. Infine, per gli isolati di Escherichia coli produttori di ESBL o AmpC o carbapenemasi il 95,08% ha mostrato resistenza multipla a 5 o più diverse classi di antimicrobici contemporaneamente. Pessima l’abitudine di maneggiare magari per lavarle parti di pollo appena portate a casa, o usare utensili come taglieri e coltelli senza poi lavarli accuratamente. O di conservarle in frigorifero crude, permettendo che entrino in contatto con altri cibi o con il ripiano: possono trasferirsi, e infettarci.
Va anche detto che veniamo in contatto ogni momento con miliardi di germi, ed il nostro sistema immunitario è ben attrezzato, normalmente, per eliminarli: ma in alcune situazioni particolari di debilitazione anche piccole cariche batteriche possono causare problemi. E quando questi batteri sono già resistenti ai farmaci perché sopravvissuti alle campagne antibiotiche degli allevamenti intensivi, il problema è che non risponderanno neppure ai nostri antibiotici.
Che poi, per principio attivo, sono gli stessi che utilizziamo anche in zootecnia: il 71% degli antibiotici venduti (compresi anche quelli a consumo umano) è destinato agli animali. Siamo il terzo maggiore utilizzatore di antibiotici negli animali da allevamento in Europa (dopo Cipro e Spagna), e il nostro uso è più alto di quello di altri paesi di simili dimensioni (il triplo della Francia, il quintuplo del Regno Unito).
Da qui l’invito ai consumatori a prestare attenzione: continuiamo a mangiare carne di pollo e di altri animali, ma con parsimonia (le proteine animali non sono ben viste dalla dieta mediterranea, se in eccesso) e rispettando la regola d’igiene che impone di evitare le contaminazioni da contatto.