Un nuovo protagonista si affaccia sulla scena flebologica: HIFU (High Intensity Focused Ultrasound). Si tratta di un nuovo metodo termoablativo non invasivo per trattare il reflusso venoso superficiale: un’immagine ecografica guida un’energia ultrasonica focalizzata. La tecnologia è stata avviata nel 2019 (A. Obermayer l’ha ideata e M. Whitely l’ha ampiamente applicata in flebologia), ma ha subito un rallentamento a causa della diffusione del Covid. Oggi è più consolidata, essendo Paolo Casoni probabilmente uno degli esperti più universalmente riconosciuti nel settore. L’intervista si propone di evidenziare alcuni aspetti dell’esperienza HIFU, toccando alcuni dettagli non chiariti o addirittura discutibili. Un recente articolo (Casoni P, et al. Phlebology 2024) ha stimolato una serie di domande cliniche e aneddotiche che abbiamo rivolto al dott. Paolo CASONI, protagonista di un’esperienza terapeutica che consente un vero e proprio trattamento “no touch” sulle vene varicose, massimo desiderio di medici e pazienti. Inoltre, in contrasto con il pensiero attuale, viene proposta una strategia conservativa, basata su una concezione patofisiologica, tuttavia discutibile e ancora non dimostrata.
Domanda – Cosa vi ha avvicinato a questa tecnica: la novità, il potenziale strategico, la soluzione tattica di trattamento?
Risposta – Sì a tutte e tre le domande, ma in particolare ho visto nell’ecografia l’opportunità di poter focalizzare l’energia sui punti di origine del reflusso. È sempre stato il sogno del Flebologo conservativo. Anche l’HIFU è nato come alternativa alle procedure endovascolari termiche, rispetto a questo scopo era poco competitivo, soprattutto con le prime versioni di SONOVEIN®. Infatti, i tempi di emissione degli ultrasuoni erano troppo lunghi, ovvero per colpire 2 mm di vena trasversalmente e 3 mm longitudinalmente ci volevano 4 o 8 s per impulso con 30-60 s di pausa tra l’uno e l’altro. Oggi ci vogliono 0,5 s per impulso per almeno 10 s di pausa. Inizialmente, SONOVEIN 1® impiegava tre ore per trattare un GSV di 30 cm. Poi siamo passati a SONOVEIN S®, con imaging migliore, e con HD è cambiato tutto. Con SONOVEIN HD® per un GSV di 30 cm il tempo è passato a un’ora e mezza, la selezione del target è diventata più veloce, c’è un connettore eco aggiuntivo per la mappatura e gli spot sono 0,5-1s.
Per noi che sviluppiamo un concetto di trattamento diverso, siamo a 30 minuti per un arto e un’ora al massimo su due arti.
D – Quali problemi organizzativi avete dovuto affrontare?
R – A dire il vero, non molti, siamo stati seguiti dall’azienda: durante la fase di installazione della macchina, nei primi 30 casi i consulenti erano sempre presenti, poi anche successivamente ci hanno sempre assistito da remoto, essendo il dispositivo una macchina complessa e piena di dettagli tecnici.
Siamo stati davvero pionieri in questo e ora ci portano medici in visita da altri paesi (Lisbona, Abu
Dhabi…). Sebbene esistano protocolli standard per un’ablazione completa, ora dobbiamo capire meglio come standardizzare il nostro protocollo per raggiungere un obiettivo terapeutico personalizzato.
Siamo ora a 364 casi trattati.
- Problemi logistici
La macchina è molto pesante e piuttosto ingombrante, tuttavia una volta posizionata non crea problemi, quindi è meglio metterla in un posto e lasciarla fissa. - Problemi legali (autorizzazione ad applicare una terapia sperimentale)
Nessun problema legale. Approvato CE per l’Europa, quindi è necessario solo il consenso informato, inoltre per un centro puramente privato la documentazione in fase di eventuale controversia è semplice. - Problemi pratici (destrezza manuale, rotture, riparazioni, incidenti)
È una procedura robotica operatore-dipendente, quindi è necessaria pratica; quindi è essenziale una cultura flebologica anatomica ed emodinamica specifica; ci sono rotture come in tutte le macchine, tuttavia su oltre 350 trattamenti abbiamo dovuto fermarci solo una volta per un guasto non riparabile a distanza; in altri 3 casi, legati a semplici problemi, il tecnico è intervenuto in tempo reale da remoto. - Materiali monouso specifici?
Sì, utilizziamo un dispositivo monopaziente (l’EPack, sistema di raffreddamento e degasaggio), costituito da un sistema di tubi collegati a una borsa refrigerante (passante attraverso un frigorifero, che è il vero e proprio ingombro della macchina) per mantenere bassa la temperatura sulla sonda che emette gli US.
D – Il vostro approccio al trattamento della patologia venosa è cambiato?
R – Da molti anni siamo orientati alla conservazione del patrimonio safenico (non CHIVA, ma ASVAL); in genere cerchiamo un’interruzione della GSV sopra il ginocchio, o sotto la perforante del DODD; con HIFU abbiamo visto che se si ha la pazienza di aspettare, le vene varicose guariscono da sole in un’alta percentuale di casi, essendo questo un motivo particolare di interesse per la metodica, che alla fine si è rivelata vincente.
D – Come vi confrontate con le precedenti soluzioni chirurgiche?
R – Se si vuole sostituire un metodo ablativo di qualsiasi tipo (chirurgia, EVLT, RF), l’HIFU è penalizzato per i tempi di esecuzione, almeno in questa fase. Negli USA per l’approvazione della FDA stanno facendo uno studio comparativo con le migliori tecniche termiche ablative attuali que; crediamo che il vero passo avanti sia proprio l’atteggiamento conservativo e non invasivo, con la possibilità di “saldare” alcuni punti di reflusso o anche solo di restringerli! Questa è stata la vera sorpresa. Siamo assolutamente conservativi.
D – Come è avvenuta la fase di “apprendimento”? È stata complicata? Quali difficoltà avete incontrato?
R – Abbiamo utilizzato una ventina di casi, ma, ripeto, l’azienda ci ha seguito e soprattutto la macchina si è evoluta rapidamente.
D – Quando proponete l’HIFU, come spiegate la metodica al paziente? Che proposta fate visto che il risultato, come scrivete nel vostro lavoro, non è immediatamente prevedibile?
R – Che ci vuole tempo: dire la verità in parole semplici.
D – La maggior parte dei pazienti richiede un trattamento delle varici tributarie, eseguito in concomitanza con la chiusura/serraggio HIFU. L’effetto della scleroterapia è accentuato dal trattamento sull’asse venoso, o viceversa, il trattamento assiale è migliorato dalla scleroterapia?
R – Assolutamente sì. Abbiamo testato ogni approccio a seconda del paziente e del caso: Scleroterapia simultanea, differita o nessun trattamento. In genere oggi preferiamo la terapia differita perché ci troveremo di fronte a varici ridotte in pressione e carico volumetrico di oltre il 50/70%, riducendo quindi la concentrazione del farmaco sclerosante; in pochi ma significativi casi non è stato fatto nulla! La circolazione venosa ha impiegato anni per sviluppare varici, quindi ci vogliono mesi per migliorare una volta rimosso il reflusso principale. Nei casi in cui preferiamo il trattamento simultaneo (solo nei casi di varici di grandi dimensioni) utilizziamo una bassa concentrazione (mai più dello 0,25% di polidocanolo con Varixio®) che evita qualsiasi complicazione e, come abbiamo visto, aiuta l’evoluzione positiva del trattamento.
D – La chiusura segmentaria di un tratto di vena safena, effetto del trattamento, corrisponde a una sclerosi “liquida”. L’eventuale effetto di “restringimento” della vena safena è simile anche alla sclerosi ricanalizzata, oppure c’è una differenza?
R – La differenza è istologica. In una casistica ancora limitata, l’HIFU crea fibrosi ialina con endotelio intatto (tecnica esotermica); questo porta a un effetto “clessidra” di successo dal punto di vista emodinamico ottenendo un restringimento: si lascia un piccolo passaggio invece di uno grande e il reflusso si riduce. La VGS, avendo due pareti muscolari, si riduce di diametro da sola.
Un doppio trattamento in due punti, sotto la giunzione e sopra il ginocchio o metà coscia, nelle VGS importanti, si sta rivelando ottimo.
Quando si ottiene un effetto occlusivo, la vena non si riapre mai, almeno fino a 2 anni, perché è una guaina rigida, ma in realtà non si è mai chiusa; se si vuole chiuderla completamente bisogna aggiungere un po’ di schiuma sclerosante. Abbiamo visto che le GSV aperte senza reflusso hanno lasciato il posto a un N3 precedentemente innocente a monte, per creare un passaggio (da qui il secondo trattamento sotto la giunzione).
D – Quando affermi che l’HIFU “preserva l’integrità della parete venosa esposta al flusso sanguigno, determinando un ‘vero’ ripristino della vena”, non stai inviando un messaggio contraddittorio, poiché altrove affermi anche che si crea fibrosi (“denaturazione caratterizzata da una perdita di struttura microfibrillare e ialinizzazione del collagene, nonché necrosi adiposa perivascolare e necrosi muscolare limitata”)?
R – Esatto, ma siamo in una fase così iniziale che ritengo accettabile un’evoluzione concettuale in corso. Il messaggio non è contraddittorio, anzi è molto chiaro: se intervengo in un punto specifico della GSV per ottenere un restringimento, la parte prossimale della GSV diventa continente in quasi tutti i pazienti. In caso di chiusura, l’interruzione dello shunt ripristina la continenza. Se si crea una nuova clessidra dove non c’era, passa meno sangue per unità di tempo. In realtà siamo ancora lontani dal capire perché si determini la continenza e questo sarà un territorio da esplorare.
Dobbiamo stare molto attenti al numero di tributari della GSV in prossimità del punto di azione dell’HIFU, perché in alcuni casi abbiamo visto una ripresa come “fuga” del reflusso, proprio in quei tributari, dotati di valvole, che però cedono alla variazione di volume/pressione, tanto che se c’è un tributario continente in prossimità del sito in trattamento, deve essere incluso anche nello stesso trattamento. Lasciare tempo al rimodellamento spontaneo del drenaggio venoso è un’altra chiave fondamentale. Ma siamo molto all’inizio e c’è un’evoluzione nell’interpretazione per cui le variazioni in corso sono la regola.
D – Dal punto di vista strategico, lei cita volentieri CHIVA e ASVAL come metodi conservativi, giudicando l’HIFU come tale. Tuttavia, questi metodi tendono a preservare l’asse safenico, a differenza dell’HIFU. In particolare, ASVAL e CHIVA II (prima fase) agiscono sui tributari. Si può trovare una certa analogia? HIFU come terza via di conservazione?
R – L’azione sull’asse safenico, nel nostro lavoro, è data dal fatto che è la prima esperienza, quindi devi occuparti della vena safena; ma abbiamo casi di tributarie, perforanti, safene accessorie anteriori, safene corte. Una ricerca sull’istologia che verrà pubblicata a breve sarà fondamentale per capirne di più.
D – A quale distanza dalla giunzione è possibile effettuare il trattamento? È possibile chiudere la giunzione a filo della vena femorale comune e qual è la lunghezza minima di un segmento di safena trattato?
R – No, non puoi arrivare a filo della giunzione anche perché non ne hai bisogno (leggi studio randomizzato su 8 anni: Casoni P, et al. J Vasc Surg. 2013)2.
Sei 3/4 cm sotto come con qualsiasi altro metodo termico.
All’inizio ci hanno detto di trattare tutta la GSV ma mi sono opposto, spiegando che accettavo di entrare in questo gioco solo perché credevo e credo in una possibilità “curativa” e non demolitiva. Estrapolando il concetto di legatura, inizialmente abbiamo agito su 3 cm, ora siamo più generosi e ci basiamo su 6 cm (sono 20 fette da 3 mm) perché hai più possibilità di ridurre la potenza del reflusso soprattutto su diametri GVS grandi.
Q – Il restringimento può essere programmato sia qualitativamente che quantitativamente. Si stabilizza?
R – Sì in teoria, ci stiamo lavorando praticamente, a volte sembra di aver trovato la chiave, altre volte no, quindi c’è una RISPOSTA INDIVIDUALE che deve essere considerata come una variabile non comprensibile al momento, ma sarà possibile nel tempo con l’intervento di AI, che sarà incluso nel prossimo SONOVEIN®, il cui nome non è ancora noto; quindi in successione: SONOVEIN 1®, SONOVEIN S®, SONOVEIN HD® (quello attuale), forse SONOVEIN AI®? NEXT?
D – Come si spiega, dal punto di vista anatomopatologico, l’acquisizione della continenza dopo un restringimento dell’asse safenico? Le valvole sono conservate nonostante la sclerosi? Sono state osservate ecograficamente? La scomparsa del reflusso non potrebbe essere dovuta all’interruzione del rientro tramite scleroterapia con meccanismo tipo RET?
R – Bella domanda e non facile da rispondere.
Certamente il modello emodinamico dell’interruzione dello shunt è la risposta, come in tutti i casi in cui la perforante del rientro è collegata alla varice.
Ma bisogna rispondere perché un asse safenico massivamente incontinente, con Valvola Terminale incompetente, con tronco anche di 8/10 mm con vene varicose importanti alla gamba, mostra un recupero della continenza una volta trattato in uno o due punti ottenendo un effetto clessidra: abbiamo molti casi simili. Abbiamo visto che quando il reflusso è molto lungo sono necessari due punti “effetto clessidra”, uno solo non basta. Il motivo è ancora da scoprire, ma quello che si vede è una riduzione spontanea del diametro dell’intera vena safena, anche se si trattano solo uno o due punti.
D – Una riflessione sui costi viene spontanea. Certo, nella fase di implementazione della metodica l’argomento è fuori luogo, tuttavia la necessità di tecnologie avanzate richiederà sempre un maggiore sforzo economico per un risultato non tanto diverso dalla scleroterapia. Oltre ai privati, cosa ne pensano le compagnie assicurative?
R – Il tema è presto detto: nulla può competere con i costi della scleroterapia, anche se i nostri risultati iniziali sono più duraturi, come hanno osservato anche altri operatori.
Tuttavia, non è l’unica metodica a cui dobbiamo rapportarci. La “competitività” va confrontata con LASER, RF, MOCA, con colla e con la chirurgia. I costi del dispositivo sono “singolo paziente” (solo per ora, perché non avendo contatto con il sangue può essere utilizzato anche per più pazienti, massimo 3). Ora per motivi di protocollo terapeutico ogni dispositivo è legato al paziente, e la macchina registra ogni dato, ma in futuro potrebbe essere diverso. In ogni caso, calcolando che il costo del dispositivo è l’unica spesa (niente infermiere, niente sala operatoria, niente materiali di consumo), il costo complessivo è allineato a quello di tutte le altre metodiche, anzi più basso, anche se di poco.
Mentre in futuro quando tratteremo 3 pazienti con un solo dispositivo, i costi saranno notevolmente ridotti. Ma stiamo parlando del futuro.
In Italia, le assicurazioni coprono il costo dell’HIFU: il FASDAC (Fondo Sanitario Dirigenti Aziende Commerciali) ha inserito l’HIFU tra le metodiche terapeutiche per le vene varicose; il FASI (Fondo Integrativo Sanitario) attualmente rimborsa l’HIFU, ma solo per patologie diverse dalle vene varicose e solo in corso di patologia oncologica.
D – Ha osservato casi di “non responder” su cui ha utilizzato altre metodiche?
R – Sicuramente ci sono dei non responder e non abbiamo capito perché. Nella pratica però, con un secondo trattamento (circa quindici casi) o un terzo (solo in 2 casi) il risultato si ottiene facilmente. La parete diventa spessa e rigida, quindi è probabilmente meglio preparata ad accettare il successivo trattamento ultrasonico.
D – Date le premesse dello studio, che sono molto positive, pensi che siamo alle soglie di una nuova fase nella cura delle vene varicose?
R – Assolutamente. Il problema è fondamentalmente culturale e industriale, mi spiego meglio: Culturale perché bisogna cambiare modo di pensare rispetto alla flebologia degli anni ’80; oggi bisogna ragionare in termini di salvataggio del patrimonio venoso, di avere pazienza e lasciare che il tempo aiuti la natura, se messa in condizione di rigenerarsi; va da sé che un sistema così poco aggressivo e “curativo” troverà lo spazio per farsi strada da solo.
Industriale perché se le aziende non investono in questo “particolare” settore nel realizzare nuove macchine sempre più performanti, più piccole e ugualmente efficaci, allora il sistema potrebbe morire. Non è un matrimonio facile (scienza, cultura e industria), ma è molto stimolante.
N.d.R. (Stefano Ricci)
L’intervista, realizzata con l’obiettivo di fare chiarezza sulle novità legate a una tecnologia emergente, ha risposto a molte delle nostre domande. Tuttavia, ha anche aggiunto nuovi interrogativi, non tanto sulla tecnica, quanto sulla strategia, basati su concetti ancora non convalidati (effetto clessidra, continenza dopo restringimento, doppio restringimento, occlusione con persistenza del lume).
Molto onestamente, il dott. Casoni ammette di trovarsi di fronte a una nuova esperienza che deve ancora rivelare i suoi aspetti patofisiologici. Alla fine sono i risultati che contano, e quelli sembrano molto promettenti!
Riferimenti
- Casoni P, et al. High intensity ultrasound focused in treating great safenous vein incompetence: perioperative and 1 year outcomes. Phlebology 2024. EPub Ahead of Print. DOI: 10.1177/02683555241243161
- Casoni P, et al. Great safenous vein surgery without high ligation of the safenofemoral junction. J Vasc Surg. 2013 Jul;58(1):173-8. DOI: 10.1016/j.jvs.2012.11.116
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